Insegnavo in una scuola di periferia a Catania in un quartiere cosiddetto “a rischio”. In questi contesti si conoscono i bambini più simpatici e divertenti che si possano immaginare. Figli della strada e dell’anarchia, difficili da educare, istruire e conquistare, ma con un cuore grande e infinitamente amabile.
Lui era Anthony, biondo e con due splendidi occhi azzurri. Aveva circa 8 anni allora. Possedeva la perfetta coordinazione psicomotoria del giocatore calcistico di strada. Lo chiamavo “Terminator”. Io ero piccola e inesperta, ma in quegli ambienti mi sentivo profondamente a mio agio.
Un giorno in un compito scrisse che si sentiva onnipotente e infinito e la sua noncurante sicumera mi mandava in bestia.
Giornalmente aggiungeva una nuova pennellata alla sua inquietante megalomania.
Un giorno mi disse che desiderava profondamente avere 10 anni.
– Anthony ma cosa pensi che possa cambiare con due anni in più?
– Sarò grande.
Oggi, nell’attesa di Anthony, ritrovo il mio passato e talvolta il mio presente languore.
L’attesa di qualcosa di meglio è un motore potente e vitale. Porta con sé l’ottimismo e la speranza, virtù benefiche e indispensabili.
Una volta realizzato il nostro obiettivo e finita l’attesa siamo convinti di conquistare una pienezza impalpabile e sublime e sentirci finalmente appagati.
E invece no. Siamo creature bizzarre e irrazionali e ogni traguardo raggiunto ne rende indispensabile un altro.
– E adesso che si fa?
Quante volte, dopo una conquista, ce lo siamo detti?
In questo periodo tutti sogniamo la nostra magica estate colma di mille progetti e dopo averli realizzati cominceremo a progettare il nostro settembre.
Oggi mi chiedo come stia Anthony, che lavoro faccia e se sia felice. Adesso dovrebbe avere 26 anni. Chissà se si sente finalmente grande.
Giusi Lo Bianco
Le persone più interessanti e più umane spesso si trovano nei quartieri più popolari. Non sempre le persone più colte o appartenenti ai ceti più ricchi e fortunati sono persone di qualità o socialmente avanzate. Da una decina di anni abito dalle parti di via Plebiscito, mentre prima frequentavo e risiedevo nei pressi di piazza Europa. Devo ammettere che ho trovato più persone educate e rispettose qui che nei quartieri cosiddetti “alti” della città. Spesso freddi, anonimi, poco inclini al rapporto umano.