Da atleti olimpionici a potenziali rifugiati politici


Un pensiero ripercorre le varie edizioni olimpiche, scivolando fino a quelle più antiche e concentrandosi sulle motivazioni per cui venivano indette e su ciò che comportava la loro apertura, vale a dire la sospensione immediata di ogni ostilità tra i popoli. Quale occasione migliore, dunque, delle olimpiadi di Londra appena concluse per cambiare vita e paese o, per meglio dire, fuggire da realtà invivibili, guerre, mancanza di rispetto dei diritti umani, povertà assoluta. Questo hanno pensato alcuni atleti provenienti dal Congo, dal Camerun, dall’Eritrea ecc… É il caso del diciottenne portabandiera d’Eritrea Weyany Ghebresilasie , vincitore dei 3000 metri siepi, il quale ha deciso di non seguire i suoi connazionali nel viaggio di ritorno verso quello che definisce il suo amato paese. Il neo campione olimpico ha fatto da apripista ad altri atleti connazionali che però evitano pubblicità di ogni tipo, impauriti dall’eventualità che il loro comportamento possa essere mal visto in patria con conseguenze pericolose per i propri familiari. Un comunicato dell’Home Office di Londra sdrammatizza, il portavoce infatti ha fatto presente che “gli atleti che hanno partecipato ai giochi hanno un visto fino a Novembre. Per ora chi ha deciso di non tornare a casa non ha violato alcuna legge”.

La prima federazione a denunciare questo uso da parte degli atleti é stata quella camerunese che annovera ben sette “dispersi” ed ha domandato aiuto alle autorità londinesi per effettuare le ricerche. In realtà, l’intera squadra di pugilato si è coalizzata per chiedere asilo politico, come secondo le fonti accadde già ad Atene e a Sidney. Tre della Guinea: la nuotatrice Dede Camara, il judoka Facinet Keita e il maratoneta Aicha Toure hanno fatto sapere tramite i compagni di giochi che non vogliono rientrare coi connazionali, perché nel loro paese mancano le strutture sportive per allenarsi ad alti livelli, così come accade in Camerun ed in tantissimi altri stati del mondo; in più si è saputo che in alcuni casi i premi olimpici promessi dalle federazioni sono stati dimezzati. Comportamento da esperti dei servizi segreti hanno tenuto gli atleti congolesi – il judoka Cedric Mandembo ed il suo allenatore Ibula Masengo, il tecnico della boxe Blaise Bekwa e il direttore della squadra di atletica Guyana Nkita -, i quali hanno abbandonato il loro alloggio nel villaggio olimpico senza alcuna spiegazione ed in silenzio. Alcuni desaparecidos della Costa d’Avorio hanno seguito l’esempio dei congolesi, eppure nessuno assicura ai 21 atleti precedentemente nominati l’ottenimento dell’asilo politico. Di loro si occuperà la charity Refugee Council inglese dando assistenza legale ed garantendo, è questo ciò che loro stessi si augurano di ottenere, il miglior trattamento possibile per questi sportivi ma, più precisamente, per questi uomini che nei loro paesi vivono realtà crudeli ed inimmaginabili. È questo ciò che il mondo intero deve augurarsi, dopo aver assistito a due settimane di sport, di vita, di tolleranza e di rispetto dei diritti umani; gli ideali antichi o moderni, su cui è basata una civiltà che si definisce mondiale, non hanno scadenza, non possono essere rivelati con un tempo determinato.

 

Paolo Licciardello 

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